here's the third reprise. kind of makes me happy. this feeling of continuity. of following the bits of a story through its development. makes me feel like a teeny tiny wannabe journalist...
whatever.
a while ago i found out a doc movie had been produced in italy about the garbage emergency in my region, and i was kind of excited. (see december and january posts) because there is lots to say about that, lots of stories to be collected and let free. lots of stories that need to be heard by many more ears.
tricky business. you need the right story, you need to tell it in the right way. from the promo it sounded like that was the case. it sounded promising.
then the limited distribution and me being in germany most of the time... in the end i did not watch it. now i found out it just came out as a book+dvd.
but does not really matter. a couple of friends of mine watched it, and had a bad impression. and i trust them. i mean, i know enrica might be overcritical from time to time, and i still believe that maybe it could say something new to the average italian living far far away from our garbage. but i haven't seen it, and she has. and she believes it does say very few (if not anything), not as piece of information, nor as story-telling movie.
makes me kind of sad, because it was a good chance. still want to watch it, sometime.
here's enrica's complete review - in italian - hopefully i have more time and translate it soon...
Biutiful cauntri
Regia: Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero.
Genere: documentario
Italia 2007
Durata: 83’
Il film-documentario di Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero racconta la cattiva amministrazione di un territorio, in cui alcune zone, nel caso specifico si parla del casertano, sono sfruttate dalla camorra per depositare rifiuti tossici che provengono dalle regioni industrializzate del Nord Italia. Alle discariche abusive, poi, si aggiungono quelle registrate, ma che risultano non essere a norma e aziende che operano senza avere i giusti sistemi di sicurezza, provocando danni ambientali che si è riusciti a far passare sotto silenzio nel corso degli anni. Intanto, in questa stessa zona, le pecore si ammalano e muoiono a causa della diossina, la produzione di latticini è bloccata, lasciando gli allevatori in un mare di debiti, e la frutta, che poi arriverà sulle nostre tavole, appare micragnosa e avvolta da una patina grigiastra.
Il film, dopo mesi dal premio vinto a Torino, ha trovato finalmente una distribuzione arrivando nelle sale di non poche città italiane. Già un buon risultato per essere un documentario e soprattutto un documentario italiano. Ma c'è da chiedersi se un film sulla situazione campana avrebbe incontrato lo stesso l'interesse dei distributori qualche anno fa, quando si sarebbe potuto davvero sollevare il problema a livello nazionale, prima che l'immondizia sommergesse le nostre strade e quando non era ancora certo il successo economico dell'operazione. E poi cosa bisogna pensare quando ci si accorge che basta affrontare una tematica sociale di estrema attualità per poter vincere un premio, senza considerare la reale bontà del prodotto?
Certo l'approccio che è stato scelto dagli autori di Biutiful cauntri è tra i più difficili: raccontare una questione complessa non con uno stile da reportage, ma attraverso una struttura narrativa che si fonda sulla presenza di personaggi, i quali agiscono nel loro ambiente seguiti dall'occhio che ce li mostra, evitando la classica intervista. Ma siamo sicuri che sia stata la scelta giusta rispetto ai fini che gli autori si proponevano?
A mio avviso, il film non racconta nulla di nuovo e ammettendo, invece, che ci sia qualcosa che la maggior parte delle persone ancora non sa (chi scrive è campana), c'è da dire che per denunciare quello che si propone basta anche meno di un'ora, mentre il film dura ben ottantatre minuti. Dov'è la storia? Un film che ha questa durata e l'approccio narrativo accennato sopra, deve avere una storia e svilupparla seguendo un filo rosso che ci conduca dall'inizio alla fine, mentre sembra che in questo caso non ci sia. Ci si perde invece, in tutta una serie di scene che non fanno altro che raccontarci sempre la stessa cosa. I personaggi che ci sono presentati sono scelti bene, un ambientalista incazzato che opera sul territorio da parecchi anni, una famiglia di allevatori che vede morire le sue pecore giorno dopo giorno e un paio di contadini che hanno visto sorgere industrie con i loro sversatoi accanto ai loro campi, eppure il film non riesce ad andare (o forse semplicemente non vuole) oltre il già noto.
L'unica scena che affronta con un occhio più profondo il problema è quella iniziale, in cui si vede l'ambientalista scontrarsi con i guardiani di una discarica, i quali pur di non perdere il posto di lavoro mettono a rischio la loro vita e quella della comunità che li circonda, tacendo tutta una serie di irregolarità, dimostrando che in Campania lo scontro non è semplicemente tra la società civile e uno Stato assente o, tra lo Stato e la criminalità organizzata, ma permea l'intero tessuto sociale. Il problema è legato al retaggio socioeconomico, storico e culturale di una regione del Mezzogiorno, che mantiene, da sempre, ognuno di noi attento solo a quello che succede a se stesso o al prossimo più vicino di turno con il quale condivide un problema impellente.
Eccetto questa scena, l'ambientalista non si scontra più con questa realtà, ma incappa infinite volte, come se non lo avessimo mai visto, in cumuli di immondizia sversati dove capita, purché la zona sia isolata e di passaggio e non smette di sbraitare fino alla fine del film mostrandoci solo la punta dell'iceberg. Se questo, però, fosse un modo per sottolineare che la lotta tra il singolo e un intero sistema che non funziona è impari, allora a mio avviso è raccontato male a livello filmico. Infatti, non c'è nulla che faccia percepire questo reiterarsi di scene simili tra di loro come la costruzione di un significato ben preciso. Inoltre, se attraverso questo personaggio si voleva raccontare semplicemente questo, cosa esprime di diverso dalla figura dell'allevatore? Non sarebbe stato meglio mantenere il suo personaggio allo stesso livello dei contadini, che rappresentano un corollario rispetto alla narrazione principale, lasciando definire la struttura narrativa del film dalla storia della famiglia di allevatori, che dal punto di vista drammaturgico sembra essere l'unica a stare in piedi? Il pecoraio vede morire le sue pecore un giorno dietro l’altro e noi con lui, impietositi dal passo zoppo delle pecore morenti, fino al giorno in cui le sopravvissute gli verranno sottratte per essere abbattute. Ha sedicimila euro di debiti solo con il salumiere e sua moglie si è spinta a chiedere aiuto al parroco per sensibilizzare la comunità al loro problema. E’ l’immagine della terra che rigetta su di noi quel che abbiamo seminato, colpendo inesorabilmente il primo che capita a tiro.
All’uscita dal cinema, l'unica cosa che rimane allo spettatore, almeno a quello campano, è la preoccupazione per questa famiglia, che realmente esiste e che rimane senza pecore, senza lavoro e sommersa dai debiti. Il pecoraio riceverà un aiuto reale dallo Stato o dalla comunità che lo circonda, oppure finirà tra le braccia della camorra andando ad ingrossare un circolo vizioso? Sembra che il film questo non se lo chieda.
Enrica Gatto
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