Tuesday, November 06, 2007

das leben der anderen


just for a change a serious entry...

das leben der anderen (the lives of others) is a german movie which came out approx one year ago and tells a story happening in east berlin in the eighties. it's actually a movie about the stasi, the state security police of the ddr. i finally managed to see it a while ago and i found it really good.

but only today i found a review, actually a comment about it, which my friend enrica wrote and with which i fully agree, and i wanted to post it here.
it's in italian, when i have time i promise i'll translate it


Brevi attimi di coscienza?

Le vite degli altri; regia di Florian Henckel von Donnersmarck; prodotto nel 2006; vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 2007; esce nelle sale italiane a marzo 2007.

Quando ho visto “Le vite degli altri” ero al cinema con Linda.
Linda è nata nella Berlino est del 1979. Alla fine della proiezione piangeva.
Non era stato il ricordo di un’infanzia infelice a provocarne le lacrime, tutt’altro, lei era perfettamente spensierata. Piangeva perché per la prima volta aveva sentito il significato della fuga (non percepita allora come tale) attraverso la Repubblica Ceca con i suoi genitori. Capiva finalmente il motivo per il quale alcuni volti che avevano popolato i suoi primi anni di vita erano improvvisamente scomparsi al suo ritorno a Berlino dopo la caduta del muro.
Il papà di Linda era un musicista e quei volti, quelli dell’arte, che se non uniformata al sistema veniva messa a tacere, sono gli stessi che il film racconta.

Gerd Wiesler , integerrimo e talentuoso capitano della Stasi, si ritrova, senza sapere di assecondare in questo modo i capricci sessuali di un uomo politico piuttosto che garantire la sicurezza e la sopravvivenza del sistema, a spiare l’unico drammaturgo che riesce ancora ad andare in scena nella Berlino est del 1984. Comincia così la storia di un’ intera comunità privata delle sue menti e della libertà di esprimere liberamente il proprio pensiero.
Il drammaturgo del film non affronta tematiche politico-sociali, tenendosi lontano, così, dalla censura e dalla morte, quest’ultima non determinata in forma diretta da coloro che detengono il potere, ma attraverso il silenzio che fa scomparire e che conduce, senza via d’uscita, al suicidio molti intellettuali, come accade ad uno dei personaggi del film, scuotendo il drammaturgo fin nelle fondamenta del suo io.
L’attrice, splendida interprete dei suoi drammi e sua compagna, è l’oggetto del desiderio e della rabbia del politico, la causa del cambiamento interiore di Wiesler e colei che rappresenta la figura del tradimento umano, combattuta tra l’amore per se stessa e l’amore per l’amato.
Ai tre quarti del film, il drammaturgo si ritrova a pubblicare clandestinamente su Der Spiegel, settimanale edito dall’altra parte del muro, un articolo sui suicidi che si verificano nella Germania dell’est e che sono taciuti dal regime. L’attrice, che aveva deciso di non assecondare più le voglie del politico per assicurarsi il posto in palcoscenico, ma di amare solo il suo uomo, si ritrova a tradirlo quando la pressione esercitata su di lei le diventa insostenibile; il capitano, dopo un lungo e ben descritto conflitto interiore, si ritrova a proteggere i due spiati fino alle estreme conseguenze.


Siamo più liberi noi oggi? Certamente non viviamo lo stesso tipo di pressioni del drammaturgo e dell’attrice. Non viviamo quelle pressioni perché non le percepiamo più. Il sistema (quello globale) è diventato talmente perfetto che lavora alla base. Il mondo corre. Gli uomini ( se pur sono stati una volta consapevoli) vivono la sua frenesia perdendone coscienza o incontrandola solo a tratti e in rari casi. Gli uomini diventano genitori, che per lo stesso meccanismo perdono il crescere dei loro figli, lasciandoli orfani del loro insegnamento e creature di un’istruzione sempre più scadente e di una comunicazione, quella che passa attraverso tutti i canali di cui oggi si fregia la nostra libertà di espressione, manipolata dall’ansia della produzione, della crescita e del guadagno economico di coloro che sono già al potere ( attenzione! non parlo del potere politico, ma di quello economico che regge al di sopra di tutto le fila del gioco).
Ed ecco che il sistema ci nutre del voyeurismo imperante in ogni pacchetto televisivo regalandoci l’illusione di poter vestire l’abito del protagonista, che nel giro di qualche mese, a volte di pochi giorni, si consuma senza soddisfare la nostra sete di essere.
Lo spettacolo da spiare passa da appositi contenitori alle nostre case e poco importa se lo si fa attraverso la cronaca nera; ciò che conta è essere presenti. E’ questa l’unica attestazione che sembra rimanere del nostro esistere?
E quando anche il telegiornale della prima rete di Stato è così solerte nel proporci la real soap del momento, dimostrandoci così che anche quelle oasi nel deserto, che pochi telegiornali costituivano, non esistono più, qualcuno potrebbe gridare ad una novella dittatura?

La dittatura dell’economia globale non ha più bisogno della Stasi, siamo diventati noi le spie delle vite degli altri (prodotte secondo le logiche dello spettacolo), senza che il sistema abbia bisogno della nostra delazione, quel che conta è la nostra assuefazione ed il nostro imbonimento.
Si rischia, così, di vivere nel porcile dell’opera pasoliniana e ce ne accorgiamo sempre meno. L’unica cosa che ci fa appena scuotere è quella che tocca le nostre pance, vivendo, sembra, nell’attesa che il maiale ci divori.

Il dono di alcuni film, e di ciò che in generale riesce ad essere arte , soprattutto se riuscissimo a fruirne nei rari attimi di calma, è quello di far brillare, anche se fiocamente, il barlume di coscienza che distingue l’essere pensante dal resto del creato. Questi oggetti d’arte contengono in loro stessi il passato, il presente e i tratti di ciò che potrebbe essere in futuro, basterebbe fermarsi a leggerli per allontanare da noi la vicina soglia del porcile.

Enrica Gatto

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